Ha iniziato il suo mandato il nuovo Assessore al Turismo, Artigianato e Commercio della Regione Sardegna Franco Cuccureddu al quale ho già fatto i miei più cari e soprattutto speranzosi auguri ai quali oggi vorrei aggiungere alcune considerazioni che spero possano essere in qualche maniera utili.
Viviamo un momento molto delicato (anche nel turismo) dovuto a un contesto socio economico fortemente instabile, alla complessità della scelta di un nuovo modello turistico che fatichiamo a fare a livello nazionale e regionale e che invece è urgente e necessario adottare per poter lavorare con prospettive di futuro stabili e sostenibili.
Sarà quindi molto interessante capire la nuova visione per governare questo settore enorme, complesso, trasversale e determinante per lo sviluppo (non solo turistico) della nostra isola.
Ad esempio sarei curioso di capire quanto il turismo sarà davvero centrale nelle politiche regionali al di fuori delle parole e delle dichiarazioni di intenti della appena trascorsa e complicata campagna elettorale. Capire quanto peso avrà l’assessorato nelle competenze trasversali con gli altri assessorati e quanto sarà in sinergia con la presidenza, ad esempio.
La mia attenzione è anche alta nel conoscere l’impegno concreto per incrementare il bilancio dell’Assessorato al Turismo (che è anche Artigianato e Commercio, che in tanti sembrano dimenticarsene) che lavora con percentuali risibili del bilancio regionale: se a parole è strategico lo sia anche nell’impegno di investimenti importanti, allora.
E magari anche scorporare il commercio e l’artigianato non artistico dal turismo, anche.
Vorrei poi anche capire ad esempio se il lavoro di questi anni verrà proseguito nella traccia lasciata dal Piano Strategico “Destinazione Sardegna 2018-2021” e del successivo e attualmente adottato “Piano strategico regionale del turismo 2023-2025“ se l’assessore (come è un suo diritto, nel caso) deciderà di cambiarlo (se non lo conoscete voi lettori il PST 2018-2021 lo potete leggerlo qui in versione completa mentre il PST 2023-2025 lo potete leggere qui ). Perché se dopo tanti anni si è finalmente arrivati alla sintesi di un piano strategico è importante sapere se si dovranno mettere in conto altri anni dietro la riscrittura onerosa del piano o se invece si possa aggiornare e modificare (come è normale e giusto che sia per un documento strategico, magari con visioni a breve, medio e lungo termine).
E in questo elenco (non in ordine di importanza), sarà interessante capire la visione strategica riguardo il modello Sardegna al di là del piano strategico e come metterà in pratica ciò che ha dichiarato, cioè un modello sostenibile e a redditività sostenibile lasciando (finalmente) il modello che punta sui numeri senza andare troppo per il sottile come è stato negli ultimi tempi, assodato che portare gente non è una strategia.
Inoltre quanto e come questa visione sarà integrata con l’ambiente, con l’agricoltura, la cultura, i trasporti e soprattutto l’urbanistica (che pensare al turismo senza pensare di essere coordinati con questi altri settori sarebbe ragionare senza gli attori che di fatto possono limitare o invece rendere efficace qualunque strategia).
Perché le città e i paesi sono comunità di persone che condividono interessi comuni, storia, luoghi, passato e futuro e pianificare il loro futuro è cittadinanza ma soprattutto urbanistica nel senso più alto e puro del termine. Non grette volumetrie edilizie ma l’evoluzione sociale, economica e culturale di una comunità costruita su ciò che sono stati, su ciò che sono e su ciò che vogliono essere, insieme.
Constrastare la tendenza degli ultimi decenni che è stata invece trovare soluzioni disarticolate che eventualmente risolvono problemi puntuali senza valutare l’insieme e senza esserne parte progettuale di senso ritrovandoci a vedere scaraventati progetti che non sono assurdi di per sé ma lo sono perché avulsi dalle esigenze delle comunità spesso piegate a quelle dei cittadini temporanei volgarmente chiamati turisti.
Un problema che ormai è diffuso in tutta Italia (e nel mondo) con centri urbani trasformati in set turistici per transumanze di carne animata senza una vera immersione nella dimensione del luogo e con esperienze artefatte, spesso edulcorate e comunque non utili alla cresciti della collettività.
E tutto questo comporta il rischio di ottenere un doppio danno: cancellare la funzione primaria e la storia togliendo uno dei valori comuni sui quali si costruisce e si rinnova l’identità delle comunità e mettere questi luoghi sul mercato come prodotti e quindi in balia dell’umore del cliente (non cittadino) e del mercato che ne possono decretare la fine.
Ed è curioso che in un mondo dove il turismo cerca la valorizzazione delle esperienze per conoscere i luoghi, le culture e le identità (senza stravolgerle, nel principio della sostenibilità turistica) ci si metta invece a monte a cancellare l’identità che invece il turista ricerca.
È urgente una revisione urgente dei processi democratici per la scelta del proprio futuro che non può essere il firmare una cambiale in bianco alla maggioranza di turno che anche se illuminata avrà sempre una visione parziale delle esigenze collettive, non rimanendo fossilizzati in una immagine sbiadita ma trovando il senso comune del futuro discutendone e scrivendolo insieme, non cancellandolo sull’altare dell’efficienza economica che spesso non è nient’altro che il desiderio di monetizzare meglio e di più.
Soprattutto perché non tutto deve essere azione per monetizzare, a maggior ragione quando si parla di futuro pubblico.
E anche perché oggi sono evidenti le difficoltà delle destinazioni in crisi di overtourism per aver cercato modelli ad alto afflusso puntando sull’economicità con inevitabile ricadute in termini di carico urbanistico e ambientale e scarsa redditività senza capire che lo sviluppo non può essere solo portare gente o essere travolti da alluvioni di persone che basta che respirino e consumino ma invece cercare e trovare chi vogliamo, come vogliamo e soprattutto quando vogliamo.
Perché basta una piazza piena di tavolini nelle città e i paesi, una folla transumante da sagra a sagra (o da museo a museo, che è quasi lo stesso) qualche articolo nella stampa straniera e noi siamo a posto, felici di essere i migliori nello storytelling della nostra fantasia bacata, tronfi del nostro ego e appagati dalla nostra inconsistenza disorganizzata ma ben posizionata sul mercato.
Vorrei poi capire anche come l’avvento delle nuove tecnologie (ultima fra tutte l’avvento della Intelligenza artificiale) e delle nuove forme di relazione e comunicazione verranno utilizzate per supportare la promo commercializzazione della Sardegna con una strategia digitale davvero innovativa, se sarà realizzata con la struttura interna all’assessorato, con una creata ad hoc o con incarichi esterni.
Mi piacerebbe conoscere quanto sarà importante per il mandato dell’Assessore puntare alla promozione della Sardegna come brand unico (peraltro già riconosciuto e ben posizionato) e non come somma (se non accozzaglia) di migliaia di luoghi, attrattive, eventi e offerte frammentati e con scarsissima penetrazione nei mercati.
Sarei poi curioso di capire qual è l’idea riguardo le centinaia di eventi patrocinati e spesso anche finanziati dalla Regione (non solo il Turismo anche se hanno ricadute turistiche) senza che esista un calendario unico organizzato e strutturato da vendere come spina dorsale di prodotti turistici integrati, con la orma mitologica speranza di (rullo di tamburi) destagionalizzare.
Niente da dire su eventi e sagre, feste di popolo, di stomaco, di bicchiere e di allegria, momenti conviviali e di vera immersione in mezzo alle persone.
Amo le sagre quando sono reali, immersione in una realtà popolare e onesta, senza costruzione per buggerare allocchi occasionali. Rimane però il fatto che le sagre così come ultimamente sono proposte rendono ogni luogo uguale, azzerato dai banchetti di torrone itineranti, dai bracieri dai fumi imponenti, dalle spine che spillano vino e birra, dai bagni introvabili, dai camion “caddozzoni” tripudio di wurstel, cipolle e patatine fritte.
Ecco, abbiamo tanto a cuore la nostra identità ma quello che emerge in questi eventi è solo una omogeneizzazione diffusa e distraente dall’evento stesso. Il rischio è di farli piombare in un anonimato rendendo gli eventi stessi collaterali alla motivazione sagra.
Credo potrebbe essere utile rendere centrale l’evento disciplinando spazi e (perché no) anche le attività di ristorazione privilegiando chi distribuisce prodotti tipici, conoscenza del territorio e della cultura gastronomica e della tradizione al di fuori delle piccolissime isole approntate in alcune zone e assediate dall’inferno gioioso dell’arrosto fumante. Penso a sistemi di ticket per degustazioni, a menù da asporto, da percorsi di conoscenza delle tradizioni.
Essere vetrina del territorio, non scaffale disordinato.
Si può fare una festa popolare senza che sia una delle altrettanto discutibili rassegne gastrofighette dall’unico scopo della redditività degli organizzatori.
Voglio anche io poter gustare una salsiccia con del pane e un bicchiere di vernaccia ma magari con il pane fatto in casa, la salsiccia di cui conosco l’origine e della vernaccia di cantina e non da supermercato.
Penso che i tanti eventi internazionale possano davvero diventare espressione del territorio, vetrina, occasione per far conoscere meglio un prodotto da fruire in altra stagione e con più calma ma per fare questo deve proporsi come prodotto omogeneo e onesto. La festa di popolo e l’evento posso essere prodotto eccellente se organizzato e disciplinato con più attenzione.
Tradizione e modernità possono coesistere ed essere determinanti quando non si svilisce il prodotto a discapito della monetizzazione immediata o della oggettiva complicazione organizzativa che comporta un modello più complesso.
Avrei anche qualche domanda sulla gestione della ricezione sommersa limitata dalla Legge sul Turismo (per voi lettori in versione completa): è stato già dichiarato che il fenomeno sarà ancor di più contrastato facendo emergere tutte le attività ma sarei curioso di sapere se anche questa enorme capacità di ricezione possa essere in qualche maniera organizzata per essere un prodotto turistico a tutti gli effetti.
Sarebbe utile anche capire se le competenze del settore turistico saranno potenziate con adeguata formazione e/o integrate con le nuove professionalità emerse negli ultimi anni (parlo soprattutto della formazione delle figure necessarie alla gestione delle filiere). Sarei infine davvero impaziente di conoscere quanto la formazione degli operatori sarà davvero impostata in funzione delle figure che il mercato richiede anche riguardo gestione, organizzazione e comunicazione o se invece continueremo a creare solo personale di bassa qualifica e non anche management.
Se posso ancora disturbare avrei anche qualche cosa da dire riguardo immagine coordinata (ovunque per promuovere il brand), strategie condivise (con incontri a scadenza almeno semestrale), redazioni diffuse per coordinare promozione e comunicazione turistica, coinvolgimento di attori esterni come i circoli, l’Enit, brand sardi e via discorrendo, piattaforma di controllo dei dati aggiornati per verificare, calibrare e cambiare le strategie sui mercati, infopoint regionali in carico ai comuni, co-marketing con porti e aeroporti, ferrovie e trasporto pubblico locale, biglietti unici integrati per cultura e trasporti, fiera del turismo digitale, eno gastronomia di qualità, cammini religiosi e non, vela, golf e luxury, turismo attivo e via discorrendo.
Il turismo insomma (come si da bene) è materia complessa ed è stata una sofferenza vederlo nel recente passato trattato come argomento da birreria, da persone che conoscono solo la superficie e rischiano di banalizzare un settore che invece potrebbe davvero rappresentare un sicuro sviluppo immediato, duraturo e sostenibile.
Per questo, per poter evitare prese in giro, mi sono sentito di dare qualche umile suggerimento al di fuori dello storytelling tossico di chi usa termini come sinergia, fare rete, fare sistema, della Sardegna come il posto dove c’è tutto quello che un turista vorrebbe avere (senza capire che esistono migliaia di posti al mondo con le stesse potenzialità e che la differenza la fanno quasi sempre servizi, costi, accessibilità, esperienze).
Perché stanco di sentire che “dobbiamo essere come le Baleari” o metafore come “Il turismo è il petrolio della Sardegna” o “può essere il volano dell’economia” vorrei umilmente suggerire che
Il turismo è il turismo, non ha bisogno di metafore ma di serietà e lavoro.
Gentile politica, abbiamo necessità di sentirci parte di un sistema che non chiama gli operatori solo come coreografia utile alle attività ma per essere parte attiva di un processo che li vede coinvolti con passione e competenza.
Siamo in tanti a chiedere un cambio di passo per essere parte attiva di un processo sociale ed economico che in questo momento storico sarà strategico e vitale per il nostro futuro: vi preghiamo, non ci deludete.
Auguri e buon lavoro a tutti noi per aiutare la nostra Sardegna a diventare un modello nuovo, innovativo e di ispirazione per il turismo nazionale e internazionale.